Clicca qui sotto per sfogliare il menu

lunedì 18 giugno 2012

IMU "con lo sconto" per metà delle case in centro


Imu scontata per circa metà delle case situate nelle microzone del Centro storico, Aventino, Trastevere e Borgo Pio I numeri parlano chiaro: se nel 2005 gli immobili residenziali della capitale accatastati come abitazioni popolari nella categoria A/4 erano 248.234, a fine 2010 si sono attestati a quota 229.983. L'incidenza di queste case sullo stock complessivo del comune di Roma, passa dal 20,53% del 2005 al 17,76% del 2010. Anche le case accatastate nella categoria A/5 (cioè abitazioni ultrapopolari) hanno registrato nel quinquennio una riduzione (da 19.184 a 14.043). Quindi, sia pure lentamente, si sta assottigliando il numero di contribuenti romani che possono ancora usufruire di una rendita catastale "leggera"
Ed è proprio partendo da questi numeri che si può giungere alla conclusione che circa la metà delle case delle quattro microzone indicate in precedenza sarebbero ancora considerate "popolari" o come "ultrapopolari" con tutte le conseguenti riduzioni fiscali sia in termini di tasse comunali (prima Ici ora Imu) che statali, come, ad esempio, al momento delle compravendite immobiliari. In concreto, se nel 2005 il 54,9% era censito nella categoria A/4 e l'11,7% nella categoria A/5, partendo proprio dai dati complessivi catastali della capitale si dovrebbe giungere alla conclusione che circa il 50% delle abitazioni del centro sono ancora incluse nella tassazione immobili "scontata".

Vediamo, attraverso alcuni esempi, l'effettiva consistenza di questi alleggerimenti fiscali. Prendiamo in considerazione un appartamento del centro storico di tre vani catastali utilizzato come abitazione principale (con aliquota Imu del 5 per mille) da una coppia che usufruisce, quindi, della detrazione ordinaria di 200 euro annue. Un immobile residenziale con categoria catastale A/2 (tipo civile) classe terza comporterà il pagamento di un'Imu di 698 euro; se accatastato nella categoria A/4 (stessa classe) comporterà il pagamento di 314 euro (sconto del 50%). Infine, se censito nella categoria A/5 (tipo ultrapopolare) l'Imu risulterà di 112 euro (sconto dell'85% circa). Se poi vogliamo verificare l'importo dell'Imu per le abitazioni affittate o tenute sfitte (con aliquote del 10,6 per mille), sempre prendendo in considerazione l'immobile campione, avremo questa situazione: categoria A/2 1.862 euro; categoria A/4 1.090 euro; categoria A/5 662 euro.

Situazione che dovrebbe radicalmente mutare quando verrà conclusa l'operazione "riclassamento" attualmente in corso in 17 microzone della capitale comprese quelle relative al Centro storico, Aventino, Trastevere e Borgo Pio. L'obiettivo dichiarato dell'operazione è la riduzione degli squilibri che spesso esistono, anche all'interno di una stessa zona abitativa, tra il valore della rendita catastale e quella di mercato e di ottenere, quindi, una più equa distribuzione del carico tributario. E' stato stimato che, al termine di questa operazione, il gettito complessivo della vecchia Ici avrebbe registrato un incremento del gettito complessivo nell'ordine del 34%. Tenuto conto che quando è stata formulata questa ipotesi, le abitazioni principali (escluse le categorie catastale A/1, A/8 e A/9) erano esenti dall'Ici, si dovrebbe ritenere che l'impatto dell'operazione "riclassamento" sul gettito complessivo dell'Imu dovrebbe risultare maggiore.

- Rosa Serrano, La Repubblica, 7 giugno 2012


SE QUESTO ARTICOLO TI E' PIACIUTO CONDIVIDILO

domenica 3 giugno 2012

L'IMU potrebbe risvegliare il mercato assopito?


Sono centinaia, se non migliaia, le case e gli appartamenti che potrebbero finire sul mercato facendo diminuire il prezzo delle proprietà. La data che potrebbe fare da spartiacque dovrebbe essere il 18 giugno e coincide con il versamento dell’acconto dell’Imu, l’imposta sugli immobili che sostituisce l’Ici.
Di questo è convinto Giuliano Satti, presidente provinciale della Fiaip, la Federazione degli agenti immobiliari. In un convegno sugli effetti che l’Imu avrà sull’economia, organizzato dall’associazione Industriali, il professionista annuncia che ritiene che finora l’introduzione dell’imposta non abbia avuto grandi ripercussioni sulle scelte dei proprietari degli immobili ma che, una volta messa la mano al portafogli per pagare la prima rata dell’imposta, potrebbero decidere di razionalizzare le proprie scelte. «Ottimizzare» è il verbo scelto da Satti per descrivere la tendenza che si profila ormai all’orizzonte.
In sostanza, secondo il professionista del settore immobiliare, è molto probabile che dopo aver pagato qualche centinaia di euro, se non di più, come acconto dell’Imu per la propria seconda casa al mare o in montagna, molti privati decidano di metterla a reddito. E cioè di metterla in vendita perché il costo di mantenimento, Imu compresa, potrebbe non far sembrare più conveniente la proprietà. «Per il momento - precisa Giuliano Satti - non c’è stato alcun effetto dirompente per l’introduzione dell’Imu. Nessuna svalutazione né alcun segnale di disfatta. Ma è molto probabile che le persone possano iniziare a valutare se convenga ancora mantenere un’abitazione nella propria completa disponibilità o se, invece, non sia preferibile metterla in vendita o proporla per gli affitti».
Le più interessate da questa tendenza in arrivo - secondo l’analisi di Satti - sarebbero proprio le seconde case e tutti quegli immobili che non sono immediatamente utilizzabili per gli affitti se non dopo una serie di lavori e di investimenti economici che i proprietari non possono o non intendono fare. Gli immobili che necessitano di manutenzione, dunque, dovrebbero essere i primi a finire sul mercato. «Questo nuovo afflusso di immobili su un mercato delle vendite e degli affitti già piuttosto saturo e fermo – conclude Satti – non potrà che determinare conseguenze importanti con effetti positivi o negativi a seconda dei punti di vista. E’ facile pronosticare un calo dei canoni di affitto e questo è indubbiamente un beneficio perché in questo modo si possono andare a risolvere anche tanti piccoli problemi di disagio abitativo. D’altra parte si può prevedere anche un calo dei valori di vendita e quindi una perdita per tutti i proprietari di case e coloro che hanno scelto di investire nel mattone. E’ ancora difficile fare previsioni attendibili ma se finora gli effetti che si sono visti sono stati piuttosto limitati, penso che dopo il pagamento della prima rata, dopo averne visto l’effetto sul proprio portafoglio, in molti cercheranno di correre ai ripari».

- Alessandro Petrini, Il Tirreno, 1 giugno 2012


SE QUESTO ARTICOLO TI E' PIACIUTO CONDIVIDILO

sabato 12 maggio 2012

Prezzi delle case. Ancora lontani dal "rimbalzo"


L' IMU, la stretta del credito bancario, le difficoltà finanziarie attraversate da tanti gruppi immobiliari fanno sorgere il dubbio che il mattone possa riservare brutte sorprese. Gli esperti del settore sono cauti circa le prospettive, ma ritengono che l' immobiliare in Italia non sia una possibile fonte di rischio sistemico. Tre le argomentazioni: i prezzi degli immobili sono saliti meno che altrove, e una bolla che non c' è non può scoppiare; anche se il mercato non tira, non si assisterà a una forte caduta dei prezzi, perché sostenuti dalla preferenza degli italiani per il mattone (rapporto ricchezza immobiliare/Pil fra i più alti al mondo); e, al confronto con gli altri paesi, la leva è bassa. Dati indiscutibili, ma l' interpretazione è ottimistica e non mi convince. Dal 1997, inizio della fase di rialzo in Italia, ai massimi, i prezzi dei nostri immobili, in termini reali, sono saliti del 70%. Meno che altrove: ai massimi, +330% in Spagna, +80% Usa, +100% Francia, +200% Gran Bretagna. Fa eccezione la Germania, dove sono scesi (indici Economist ). Ma anche la successiva contrazione dal picco è stata molto più contenuta in Italia che altrove, (salvo la Francia), lasciando i prezzi del mattone in termini reali 40% più alti che a inizio euro; troppo. Stessa dinamica se si guarda al rapporto tra prezzi e affitti: in Italia la bolla siè gonfiata poco, ma si è anche sgonfiata molto lentamente, lasciando così le valutazioni elevate rispetto ai parametri storici. Inoltre, nel ciclo immobiliare, i prezzi, prima di risalire, scendono sotto le valutazioni di lungo periodo: è proprio la percezione di aver raggiunto "prezzi da saldo" che innesca la risalita. Siamo ancora lontani dai minimi. La bassa leva in Italia spiega la lentezza dell' aggiustamento dei prezzi al ribasso (non si è costretti a vendere), ma non impedisce che scendano. Le compravendite sono crollate (-23% rispetto agli anni precrisi) e ci si aspetta un' ulteriore forte riduzione (inchiesta Banca d' Italia): ai prezzi richiesti, dunque, non ci sono compratori e si preferisce aspettare; ma tasse, costi di manutenzione, caduta degli affitti e le prospettive di recessione, accentueranno la necessità di vendere, e quindi la caduta dei prezzi. Senza contare l' offerta latente dello Stato, che vuole privatizzare, dei fondi, che vogliono fare liquidità, e delle tante posizioni a leva, che devono ridurre i debiti. Robert Shiller ha mostrato come la dinamica degli immobili in questo ultimo ciclo sia diversa perché gli acquisti sono stati fatti prevalentemente con un' ottica di investimento, sostenuti dall' aspettativa che alla lunga gli immobili si rivalutano sempre, e quindi offrono un guadagno certo. Se sono le aspettative di rivalutazione a guidare l' investimento immobiliare, piuttosto che il desiderio di usufruire di un bene durevole, la volatilità dei prezzi aumenta: la salita sarà più accentuata, ma anche la discesa, non appena le aspettative cambiano direzione. Quanti italiani hanno investito nel mattone perché «con l' affitto ci pago il mutuo, e non si può perdere»? Quanti capitali scudati sono stati investiti nell' immobiliare? Quante società hanno scorporato immobili per creare investimenti a leva? E quanti sono stati "apportati" nei fondi di investimento? In passato, infine, dopo ogni sbornia c' era l' inflazione che riportava in equilibrio le valutazioni degli immobili. Questa volta c' è l' euro: e senza inflazione, saranno i prezzi nominali a dover scendere. Non sarà fonte di rischio sistemico, ma la probabile contrazione della ricchezza immobiliare in Italia avrà un effetto depressivo, esacerbando anche il credit crunch. In un' interessante tabella su A&F del 23 aprile si calcola in 420 miliardi l' esposizione all' immobiliare di 8 grandi banche italiane, di cui 143 verso società (senza contare il settore delle costruzioni): non sarà la Spagna, ma rispetto ai 149 miliardi di patrimonio delle 8 banche, qualche preoccupazione dovremmo averla.

- Alessandro Penati, La Repubblica, 5 maggio 2012


SE QUESTO ARTICOLO TI E' PIACIUTO, CONDIVIDILO

mercoledì 25 aprile 2012

La dura battaglia del mattone


Con la crisi del mattone se ne va forse l’ultima illusione degli italiani. Quella di avere un approdo sicuro per i propri risparmi, un rifugio contro qualsiasi tempesta. Dopo il calo dei redditi reali, ora anche la casa, tra Imu e fine della "bolla", comincia a diventare fonte di preoccupazione. La colpa viene adesso addossata all’Imu, un’imposta molto più pesante (soprattutto sulle seconde case) della precedente Ici. Imu che, secondo il direttore del Censis Giuseppe Roma, potrebbe portare a un calo dei prezzi del 20 e in alcuni casi del 50 per cento. Un’affermazione azzardata si sono subito affrettati a controbattere un po’ tutti gli operatori e non suffragata da dati scientifici. Ma forse Roma voleva solo lanciare un allarme, avvertire sulle possibili conseguenze di una nuova tassa che va a colpire un settore già in grave affanno per conto suo. 

E certo, a guardare i dati elaborati dall’Ance, l’associazione dei costruttori, non c’è da stare allegri. Gli investimenti in abitazioni in Italia sono precipitosamente scesi a partire dalla fine del 2007 e sono adesso tornati ai livelli che avevano nel 2000; in cinque anni (2008-2012) il livello degli investimenti in costruzioni (tutti i comparti) "si è ridotto del 40,4 per cento in termini reali". Segno meno a due cifre per ogni segmento: abitazioni 18,6, nuove case 40,4, non residenziale 29,5, con la parte privata che vede un 23,3 e quella pubblica 37,2 per cento. L’unico segmento che ancora si salva (forse grazie alla detrazione fiscale del 36 per cento) è quello della manutenzione straordinaria (più 6,3 per cento negli ultimi cinque anni), che però è il segno tangibile di una ritirata nell’ultima trincea rimasta, quella della propria abitazione.
Il numero di compravendite, dopo aver raggiunto il picco di 869 mila, è rapidamente sceso di oltre il 30 per cento e nel 2012, secondo l’Ance, dovrebbe attestarsi sotto la fatidica soglia dei 600 mila. Di fatto siamo tornati ai livelli di quattordici anni fa, prima dell’inizio del boom.
Di fronte a questa crisi generale di investimenti e compravendite, i prezzi, finora, hanno resistito abbastanza bene. Non c’è stata nessuna brusca caduta, come in altri paesi dove la bolla immobiliare era stata ben più pronunciata come in Spagna e in Irlanda. Rispetto ai picchi di prezzo raggiunti nel primo semestre del 2008, "nelle grandi città si legge nell’ultima nota dell’Ance la riduzione media dei prezzi delle abitazioni è stata dell’8,6 per cento". Non molto, anche se per la verità in termini reali siamo già a un meno 14 per cento. Poi, naturalmente, le situazioni sul territorio italiano sono molto variegate. «Le grandi città dice Lorenzo Bellicini, direttore del Cresme hanno resistito meglio delle aree di provincia. Il Sud in generale è andato peggio del Nord».
Ma il punto è un altro. Anche in passato ci sono state crisi immobiliari. La domanda che però aleggia in questo momento nel nostro paese è però un’altra: stavolta sarà diverso? È cambiato o cambierà qualcosa in modo strutturale? Difficile dare una risposta. Ma una chiave di lettura la dà Bellicini: «Il motore del cambiamento è la perdita strutturale della capacità di produrre reddito nel paese. Guardiamo a cosa è accaduto negli ultimi 18-20 anni. Fino al 1995, secondo i dati della Banca d’Italia, l’indebitamento delle famiglie per l’acquisto della casa era molto basso. Nella fase successiva, quella del boom, il reddito ha continuato a crescere poco ma c’è stata una grande disponibilità di credito facile, che ha innescato un ciclo immobiliare molto positivo. In quella fase chiunque comprasse qualsiasi immobile vedeva rivalutarselo sotto gli occhi. Poi, a partire dalla seconda metà del 2006 le cose si sono progressivamente deteriorate. Non è strano che il mercato immobiliare, che è quello che nello scorso decennio è cresciuto di più, è anche quello che adesso soffre di più».
Un grafico mostra chiaramente come i prezzi delle abitazioni siano aumentati, a partire dal 2001, ben più sia dei salari sia del pil sia dell’inflazione. Detto in altre parole, i prezzi delle case a un certo punto sono partiti per la tangente. Ma dal nulla non si crea nulla, almeno secondo la fisica tradizionale. Il che vuol dire che quel boom dei prezzi dovrà essere riassorbito con un lento movimento discendente che riavvicini i valori al pil e ai salari. La discesa è iniziata nel 2007 ma non sembra ancora finita. Anche perché, in questa fase, il reddito disponibile tende a scendere per effetto delle correzioni in atto nei conti pubblici, che portano un forte aumento della pressione fiscale.
A preoccupare gli operatori è il fatto che non s’intraveda in questo momento alcuna via di fuga. Tutti i fattori negativi ruotano insieme in un vortice depressionario. «La situazione è molto complessa dice Valter Mainetti, fondatore e amministratore delegato di Sorgente, un’ Sgr specializzata in fondi immobiliari per investitori istituzionali Sono sempre stato molto ottimista ma stavolta lo sono meno. Certo, prima o poi questo vento di tempesta passerà, ma chissà fra quanto. Ora sono troppi gli elementi che per una serie di circostanze operano tutti contro una ripresa del mattone: gli immobili sono tartassati; le famiglie vedono ridursi il reddito; mancano gli acquirenti istituzionali: gli enti di previdenza, che finora sono stati tra i principali investitori, sono al centro di una tempesta giudiziaria e forse di una possibile riforma; gli stranieri se ne sono andati; una serie di riforme con effetto retroattivo, prima di Tremonti ma avvalorate poi anche da Monti, hanno disorientato gli operatori. Tanto per far capire, noi adesso stiamo raccogliendo denaro estero su estero con le nostre Sgr londinese e lussemburghese. In Italia staremo fermi per almeno un anno».
Il crollo del mattone preoccupa non soltanto i costruttori e le famiglie, che potrebbero veder ridurre il valore della propria ricchezza, ma molti altri soggetti economici, in effetto "demoltiplicativo" di vasta portata nell’economia italiana. «Le costruzioni dice Paolo Buzzetti, presidente dell’Ance hanno la filiera produttiva più lunga: ha a che fare con l’80 per cento dei settori economici italiani: dal cemento e dal calcestruzzo ai laterizi, dalla tecnologia (caldaie, climatizzazione, domotica) al legno e all’arredamento. C’è inoltre un’importante filiera, quella dell’efficienza energetica, che punta a usare tecniche progettuali avanzate. Né bisogna dimenticare la progettistica. È per questo che si è sempre detto che se l’edilizia va, tutto va. Del resto, è proprio nelle costruzioni che si ha un effetto sull’indotto più alto: ogni miliardo di investimenti in questo settore genera una ricaduta sugli altri settori pari a 3,37 miliardi». 
La crisi della casa è accentuata anche dalle banche, che oggi preferiscono centellinare i mutui perché non hanno sufficiente raccolta a medio-lungo termine. Ma ciò, da un altro punto di vista, le impoverisce, perché i redditi ricavabili dai mutui scendono. Inoltre, le banche sono state le prime a essere colpite dalla crisi del mattone, esplosa inizialmente con la rovinosa caduta degli immobiliaristi come Zunino, Coppola, Statuto, Ricucci, e si sono dovute accollare in un modo o nell’altro buona parte dei loro beni. 
Come si vede in questo momento la ruota della fortuna gioca per il mattone in senso contrario. E poi, il governo ha messo un ulteriore carico sulla casa con l’Imu. L’effetto sarà così disastroso come preconizza il Censis? «Non credo dice Valerio Angeletti, presidente della Fimaa, la federazione degli agenti immobiliari. Certo, non è una tassa che incoraggi gli investimenti ma chi può credere che tutti si metteranno a vendere perché devono pagarla? Manca però qualsiasi politica a favore della casa e gli operatori soffrono tutti. Per noi il calo degli affari è stato in media del 30 per cento».
Ma c’è chi sostiene che l’Imu fa bene, anzi che avrebbe dovuto essere più alta. «In Italia dice Innocenzo Cipolletta, presidente dell’Università di Trento le imposte sono spostate troppo sul reddito e poco sul patrimonio. Il governo Monti avrebbe dovuto alzare ancora le aliquote e con il maggior reddito finanziare uno sgravio fiscale per i redditi più bassi».

- Adriano Bonafede e Marco Panara, Repubblica, Affari&Finanza, 23 aprile 2012

SE QUESTO ARTICOLO TI E' PIACIUTO CONDIVIDILO