Clicca qui sotto per sfogliare il menu

lunedì 31 maggio 2021

L’effetto covid sul mercato degli affitti, in calo le locazioni per studenti e lavoratori

L’andamento del mercato degli affitti nel 2020 registra una diminuzione delle percentuali di locazioni legate a necessità di studio e lavoro.

Nel dettaglio, gli studenti che hanno firmato un contratto di locazione passano dal 6,3% del 2019 al 4,5% del 2020, mentre i lavoratori scendono dal 25,8% al 23,1%. I numeri confermano le difficoltà riscontrate sul mercato degli affitti e connesse alla pandemia, che ha imposto un massiccio ricorso alla didattica a distanza e allo smart working.

Tendenzialmente, al livello nazionale, nel secondo semestre del 2020 i canoni di locazione sono diminuiti del -1,4% per monolocali e bilocali e del -1,3% per i trilocali. Mentre il contratto più utilizzato rimane quello a canone libero (49,1%), pur registrandosi una crescita delle percentuali di contratti a canone concordato e a carattere transitorio.

Questi ultimi passano dal 18,4% del 2019 al 19,7% del 2020, evidenziando un fenomeno registrato su tutto il territorio nazionale e che riguarda le abitazioni destinate agli affitti turistici. In alcuni casi, infatti, queste tipologie sono state spostate sul mercato degli affitti tradizionali con l’utilizzo di contratti a carattere transitorio che hanno una durata più breve e che permetteranno, una volta terminata l’emergenza sanitaria, di ritornare sul mercato degli affitti turistici.

Non vengono registrate novità rilevanti, invece, per quanto riguarda l’età rispetto al 2019. Da segnalare, però, una lieve contrazione delle percentuali di affitto da parte delle fasce più giovani e di quelle intermedie, determinata probabilmente dal ribasso di contratti stipulati con studenti e lavoratori trasfertisti.

Il bilocale si conferma il taglio più affittato con il 39,1% delle scelte, seguito dal trilocale preferito nel 31,2% dei casi. Nel 2020 la percentuale di inquilini single si attesta sul 42,8%, quota molto simile a quella registrata nel 2019 quando si fermava al 42,2%. Coppie e famiglie compongono quindi il 57,2% del totale degli inquilini in Italia. - Idealista.it, 26 maggio 2021

Rassegna stampa a cura di:

Luca Vona

RE/MAX Blu

Team Evolution

Tel. 3385970859



Agenzie

PARIOLI, Via Mercalli 3

SAN GIOVANNI, Via Acireale 19

TALENTI, Via Monte Patulo 25

AXA, Via Eschilo 72s

CASTELLI ROMANI, Viale Matteotti 25, Genzano


💰 Quanto vale il tuo immobile?

🏠 Cerchi casa? Lascia la tua richiesta

👉 Guadagna segnalando un cliente

 
Social



sabato 29 maggio 2021

La Certificazione di Conformità degli Impianti (Di.Co.)

Intraprendere un percorso per arrivare a concludere la compravendita di un immobile, oltre a essere una scelta personale molto importante, potrebbe talvolta generare spaesamento. Pensiamo per un attimo a tutta la documentazione necessaria per vendere casa: quali documenti occorrono? Come entrarne in possesso?

Certificati di conformità degli impianti

Di che cosa si tratta? Sono, in sostanza, documenti che attestano la conformità dell’impianto elettrico, idraulico e degli altri impianti presenti nell’abitazione rispetto a quanto stabilito dalla legge. I dubbi a riguardo sono del tutto naturali, poiché potremmo averli smarriti col tempo o non averli mai ricevuti dal precedente proprietario. Vediamo, quindi, quali sono e come fare per reperirli.

Cos’è e a cosa serve la Dichiarazione di Conformità degli impianti

Qualsiasi impianto all’interno di un immobile deve essere costruito rispettando la normativa espressa nel DM 37/08. Il Decreto Ministeriale, entrato in vigore nel 2008, definisce le specifiche sulla realizzazione degli impianti a regola d’arte, che fino a quel momento erano invece regolate dalla legge 46/90, che per ben 18 anni ha fissato i requisiti nel settore degli impianti interni degli edifici.

La Dichiarazione di Conformità (anche detta DiCo) serve proprio a certificare la realizzazione di un impianto a regola d’arte, secondo quanto dettato dalla normativa vigente. La società che ha eseguito l’installazione dell’impianto si occuperà di redigere il documento da consegnare al committente: con in mano questa certificazione, il proprietario avrà la certezza che l’impianto rispetti gli standard di qualità e sicurezza previsti dalla legge.

L’impresa coinvolta nei lavori deve essere iscritta al registro delle imprese o all’albo artigiani, ma soprattutto deve avere al suo interno delle figure con specifici requisiti tecnico-professionali.

Dichiarazione di conformità: per quali impianti è richiesta?

Nell’articolo 1 del DM 37/08 troviamo indicati gli impianti per i quali è necessario rilasciare una certificazione di conformità, indipendentemente dalla destinazione d’uso dell’immobile. Questi sono:

  • Tutti gli impianti di produzione, trasporto o distribuzione di energia elettrica
  • Gli impianti radiotelevisivi e quelli elettronici in generale
  • Impianti di riscaldamento, condizionamento, climatizzazione e ventilazione
  • Gli impianti idrici e sanitari
  • Tutti gli impianti per la distribuzione e l’utilizzo del gas
  • Impianti di sollevamento quali ascensori, scale mobili e montacarichi
  • Gli impianti antincendio

Cosa fare se non si è in possesso della DiCo

La Dichiarazione di Conformità degli impianti deve essere rilasciata ogni qual volta si installi un nuovo impianto. Non solo: è necessaria anche in caso di manutenzione straordinaria, modifica o ampliamento di un impianto già esistente. L’unico caso per cui non è obbligatoria è quello della manutenzione ordinaria. Ma cosa accade se non si è in possesso della Dichiarazione di Conformità o quando non la si riesce più a reperire? I casi sono tre e dipendono dall’anno di realizzazione dell’impianto.

Se l’impianto risale a prima del 1990, la Dichiarazione di Conformità in estrema sintesi, non è necessaria, in quanto la legge 46/90 stabiliva l’obbligo di adeguamento degli impianti – anche se per gli impianti diversi da quelli elettrici non esistevano criteri univoci per essere considerati adeguati – , che in tal caso doveva essere certificata con una Dichiarazione di conformità, ma chi invece all’entrata in vigore della legge aveva già un impianto considerato a norma, non doveva disporre di alcuna documentazione a riguardo.
Se la data di realizzazione dell’impianto è compresa tra il 1990 e il 2008, è possibile richiedere una Dichiarazione di Rispondenza. La DiRi sostituisce la DiCo nei casi in cui il certificato originale risulta irreperibile o smarrita dal proprietario dell’immobile o dall’installatore dell’impianto.
Per gli impianti realizzati dopo il 2008 non è possibile redigere una Dichiarazione di Rispondenza, come visto nel caso precedente, ma sarà necessario reperire la certificazione originale oppure, se sono necessarie delle modifiche all’impianto, bisognerà realizzare una nuova Dichiarazione di Conformità. Come reperire quindi la dichiarazione di conformità originale in caso di smarrimento? Ci si può rivolgere all’impresa che l’ha rilasciata in origine, oppure si può provare a richiedere una copia allo Sportello unico per l’edilizia del comune in cui è situato l’impianto in questione: dovrebbe infatti essere stata qui depositata una copia della certificazione al momento della redazione.
Si può vendere casa in assenza della certificazione di conformità degli impianti?
Oggi, al momento del rogito, il venditore non è obbligato a dichiarare la conformità (o mancata conformità) degli impianti dell’immobile oggetto della compravendita, anche se, per evitare contestazioni future da parte dell’acquirente, è consigliabile comunque specificare nell’atto lo stato degli impianti.

Certificazione degli impianti e APE: quali sono le differenze?

Tra i documenti obbligatori da allegare all’atto di vendita, da non confondere con le certificazioni di conformità degli impianti, c’è invece l’APE, l’Attestato di Prestazione Energetica che riguarda la valutazione del consumo energetico dell’immobile.

Luca Vona

RE/MAX Blu

Team Evolution

Tel. 3385970859



Agenzie

PARIOLI, Via Mercalli 3

SAN GIOVANNI, Via Acireale 19

TALENTI, Via Monte Patulo 25

AXA, Via Eschilo 72s

CASTELLI ROMANI, Viale Matteotti 25, Genzano


💰 Quanto vale il tuo immobile?

🏠 Cerchi casa? Lascia la tua richiesta

👉 Guadagna segnalando un cliente

 
Social



L'Attestato di Prestazione Energetica (APE)

L’A.P.E. è un documento tecnico redatto da tecnico abilitato che definisce le caratteristiche di un immobile per quanto riguarda le capacità isolanti dei materiali che compongono le murature e i serramenti, nonché le prestazioni energetiche degli impianti di riscaldamento e di raffrescamento. E’ obbligo di legge dotare ogni edificio (salvo pochi casi) dell’A.P.E. prima della compravendita o della locazione.

Alla luce delle nuove disposizioni introdotte dal D.L. 63/2013, le sanzioni si fanno più aspre, sia per chi non ottempera agli obblighi di presentazione dell’Attestato di Prestazione Energetica, sia per chi rilascia un APE non veritiero o non conforme alle metodologie ed ai criteri previsti dalla legge.

Cosa rischia il proprietario nel caso di vendita/locazione?

È obbligatorio il rilascio dell’APE nei casi di vendita, di trasferimento di immobili a titolo gratuito o di nuova locazione di edifici o unità immobiliari: in questo caso l’Attestato di Prestazione Energetica deve essere prodotto a cura del proprietario e reso disponibile al potenziale acquirente o al nuovo locatario all’avvio delle rispettive trattative e consegnato alla fine delle medesime.

È obbligatorio allegarlo al contratto di vendita o agli atti di trasferimento di immobili a titolo gratuito o ai nuovi contratti di locazione pena la nullità dei contratti stessi.

Ma non è tutto. Se viene violato l’obbligo di dotare l’edificio o l’appartamento dell’APE il proprietario è punito con una sanzione amministrativa che può andare da un minimo di 3.000 euro ad un massimo di 18.000 euro nel caso di vendita e da un minimo di 300 euro ad un massimo di 1.800 euro, nel caso di nuovo contratto di locazione.

Cosa rischia il soggetto certificatore?

Se l’APE rilasciato dal professionista qualificato non è conforme alle disposizioni in vigore e, quindi, non rispetta i criteri e le metodologie definiti dalla legge, il professionista è punito con una sanzione amministrativa che può andare da un minimo di 700 euro ad un massimo di 4.200 euro. Inoltre, qualora ricorrano le ipotesi di reato, ossia la formulazione di atti falsi o mendaci, il responsabile è punito ai sensi del codice penale e delle leggi speciali in materia.

Cosa rischia l’agenzia immobiliare?

Nel caso di offerta di vendita o di locazione, i corrispondenti annunci pubblicitari e commerciali devono riportare gli indici di prestazione energetica dell’involucro e globale dell’edificio e la corrispondente classe energetica. In caso di violazione dell’obbligo di riportare tali parametri energetici nell’annuncio di offerta di vendita o locazione, il responsabile dell’annuncio è punito con una sanzione che può andare da un minimo di 500 euro ad un massimo di 3.000 euro.

Luca Vona

RE/MAX Blu

Team Evolution

Tel. 3385970859



Agenzie

PARIOLI, Via Mercalli 3

SAN GIOVANNI, Via Acireale 19

TALENTI, Via Monte Patulo 25

AXA, Via Eschilo 72s

CASTELLI ROMANI, Viale Matteotti 25, Genzano


💰 Quanto vale il tuo immobile?

🏠 Cerchi casa? Lascia la tua richiesta

👉 Guadagna segnalando un cliente

 
Social



Conformità della planimetria con lo stato di fatto dell'immobile

Dal primo luglio 2010 è entrata in vigore la norma che impone la verifica della regolarità catastale dei fabbricati prima del rogito. Il notaio, prima della stipula degli atti di vendita dei fabbricati, o di altri atti con i quali si trasferiscono o costituiscono diritti reali sugli stessi deve verificare che l’immobile sia regolarmente censito in catasto a nome del legittimo proprietario (o titolare del diritto reale), il quale deve dichiarare che i dati catastali e le planimetrie depositate in catasto corrispondono allo stato di fatto del fabbricato.

La mancanza di queste dichiarazioni determina la nullità dell’atto, e dunque l’invalidità della compravendita o dell’atto relativo all’immobile (art. 29, comma 1-bis, della legge 27 febbraio 1985 n. 52, introdotto dall’art. 19, comma 14, del decreto legge 31 maggio 2010, n. 78, come risultante dalla legge di conversione 30 luglio 2010, n. 122).

Non è più possibile, dunque, vendere un fabbricato, se non è regolarmente dichiarato in catasto, ma neppure se l’intestazione catastale non corrisponde alla realtà, se la planimetria depositata in catasto non raffigura esattamente lo stato di fatto dell’immobile, o se gli altri dati caratteristici dell’immobile (consistenza, categoria, classe e rendita catastale) non sono aggiornati.

Si tratta di situazioni che si verificano con una certa frequenza. Basta pensare all’ipotesi in cui il precedente passaggio di proprietà del fabbricato non è stato correttamente volturato in catasto, per “dimenticanza” del proprietario ma anche a causa di un errore del catasto stesso, che non ha evaso la pratica di voltura, pur se diligentemente presentata (come accadeva spesso negli anni ’70 e ’80, prima dell’informatizzazione della banca dati catastale).

Per comprendere come ciò sia possibile, dobbiamo tenere presente che il catasto è una banca dati creata e gestita soltanto per scopi fiscali, cioè per far pagare le tasse sugli immobili, mentre i dati che attestano l’effettiva proprietà di un immobile sono quelli contenuti nei registri immobiliari. Ecco perché, fino a oggi, il proprietario di un immobile aveva interesse a risultarne intestatario nei registri immobiliari (e a ciò ha sempre provveduto il notaio, sotto la propria responsabilità personale), mentre dedicava minore attenzione all’intestazione catastale. Può anche accadere che in catasto non risulti depositata la planimetria del fabbricato (per gli accatastamenti più vecchi), o che la planimetria depositata non corrisponda allo stato di fatto dell’immobile, per un errore iniziale o perché non è stata aggiornata in occasione di piccole modifiche (apertura di una finestra, spostamento di una parete, realizzazione di un nuovo bagno). Nelle planimetrie degli appartamenti, inoltre, potrebbe non essere riportata la cantina, oppure la cantina riportata potrebbe non essere quella giusta. Infine, è possibile che in seguito a una ristrutturazione del fabbricato la categoria e la classe attribuite (e di conseguenza la rendita catastale) non corrispondano più alla realtà.

Come è cambiata, nella pratica, la fase preparatoria al rogito notarile? La prima novità riguarda la planimetria del fabbricato. Già in precedenza veniva spesso consegnata dal venditore al notaio, insieme all’atto di provenienza e agli altri documenti della casa. Oggi questo diventa un obbligo inderogabile. Il notaio deve verificare che esista in catasto una planimetria che rappresenta l’immobile, dunque il venditore gli deve consegnare la copia recente della planimetria “ufficiale”, quella rilasciata dall’Agenzia del territorio e corrispondente all’originale depositato in catasto. Non basta, dunque, una planimetria qualsiasi, redatta dal tecnico, ma deve risultare che si tratta di quella depositata in catasto. L’Agenzia del territorio ha assicurato che presto consentirà ai notai di stampare la planimetria “ufficiale” dei fabbricati direttamente nel proprio studio, scaricandola per via telematica come già da tempo avviene per le visure catastali e le mappe dei terreni. Per il momento, invece, la planimetria può essere richiesta solo presso gli uffici del catasto (nel capoluogo di provincia), ed esclusivamente dal proprietario del fabbricato o da un suo rappresentante (con delega scritta e fotocopia della carta di identità), quindi il venditore deve andare personalmente a ritirarla, oppure dare incarico al notaio (che può fornire questo servizio aggiuntivo, a spese del venditore) o all’agenzia immobiliare, ma sempre con delega scritta. La copia della planimetria catastale deve essere recente, dunque dobbiamo richiederla poco prima del rogito.

Al momento dell’atto, il venditore deve dichiarare sotto la propria responsabilità che la planimetria depositata in catasto (e di cui viene allegata copia all’atto notarile) è conforme allo stato di fatto dell’immobile. Il venditore deve inoltre dichiarare la conformità allo stato di fatto di tutti i dati catastali del fabbricato, riportati nell’atto. La dichiarazione del venditore può essere sostituita dall’attestazione di un tecnico abilitato alla presentazione di atti di variazione catastale. Se la planimetria o i dati catastali non corrispondono alla realtà, devono essere aggiornati (con l’intervento di un tecnico, a spese del venditore), prima del rogito. Ecco perché è opportuno verificare la situazione catastale fin dal momento della firma del contratto preliminare, per evitare che sorprese dell’ultimo minuto costringano a rinviare la data prevista per il rogito.

L’Agenzia del Territorio (Circolare n. 2 del 9 luglio 2010) ha precisato che quando la planimetria catastale non riproduce fedelmente la situazione attuale dell’immobile, l’intestatario deve presentare, prima del rogito, una denuncia di variazione, allegando la planimetria aggiornata. Questo sia che si tratti di una difformità originaria, cioè dovuta a un’errata rappresentazione nella planimetria depositata in precedenza, sia che derivi da modifiche eseguite successivamente, e non comunicate al catasto. L’Agenzia del Territorio ha chiarito però che non assumono rilievo le variazioni di toponomastica (il nome delle vie e i numeri civici), i nomi dei confinanti e ogni altro elemento che non influisce sulla corretta determinazione della rendita.

La legge di conversione del decreto ha precisato che la conformità della planimetria allo stato di fatto dell’immobile deve essere verificata “sulla base delle disposizioni vigenti in materia catastale”. Questa precisazione consente all’intestatario di attestare la conformità della planimetria anche in presenza di lievi modifiche interne, come lo spostamento di una porta interna o di un tramezzo, che pur variando la superficie utile dei vani interessati non modificano il numero dei vani e la loro funzionalità, e quindi non comportano una variazione della rendita catastale, come ha chiarito l’Agenzia del Territorio. Deve trattarsi, comunque, di modifiche veramente minime. Nei casi dubbi, la mancata modifica del numero dei vani e della funzionalità dovrà essere attestata da un tecnico, quindi sarà più semplice depositare una nuova planimetria aggiornata, come auspica la stessa Agenzia del Territorio.

E’ invece espressamente considerato obbligatorio l’aggiornamento della planimetria in caso di rilevante ridistribuzione degli spazi interni, realizzazione di nuovi servizi igienici, realizzazione di soppalchi, modifica nell’utilizzo di balconi e terrazze, utilizzazione del retrobottega di un negozio come spazio destinato alla vendita.

Le dichiarazioni rese dal venditore sulla conformità catastale sono riportate nell’atto dal notaio, ma il notaio non può verificarne il contenuto, salvo casi particolari. In caso di dubbi, dunque, è opportuno che l’acquirente faccia eseguire una verifica da un tecnico, prima del rogito, per evitare di avere problemi (e sanzioni) dopo l’acquisto della casa. L’intervento di un tecnico a tutela dell’acquirente, già diffuso nella prassi in alcune province, consente di verificare anche la regolarità urbanistica dell’immobile, al di là delle dichiarazioni formali rese dal venditore davanti al notaio e riportate nell’atto. Il notaio, infatti, sia nel caso delle dichiarazioni sulla conformità catastale sia per quanto riguarda quelle sulla regolarità urbanistica (e quindi l’assenza di abusi edilizi) deve per legge chiedere al venditore di rendere una dichiarazione, ma non può verificarne la veridicità. Il notaio può comunque fornire, come servizio accessorio, l’intervento di un tecnico che, dotato delle competenze professionali necessarie, esegua tutte le verifiche opportune per garantire all’acquirente la regolarità sostanziale, e non solo formale, della casa che sta comprando.

Il notaio deve invece verificare direttamente, sotto la propria responsabilità, la corrispondenza tra l’intestazione catastale dell’immobile e i diritti risultanti dai registri immobiliari. In caso di difformità, occorre aggiornare la situazione catastale prima del rogito, eseguendo il cosiddetto “preallineamento”, se le volture dei passaggi precedenti erano state presentate ma non recepite dal catasto, oppure presentando le volture catastali che a suo tempo erano state omesse. A tutto questo può provvedere il notaio, a spese del venditore. Solo in casi particolari, quando un intervento preventivo di allineamento catastale non è attuabile, l’allineamento potrà avvenire dopo il rogito, contestualmente alla voltura catastale dell’atto eseguita dal notaio mediante il cosiddetto “modello unico”, ma sempre a spese del venditore (Circolare Agenzia del Territorio n. 2 del 9 luglio 2010).

Le nuove norme, oltre che alle compravendite, si applicano a tutti gli atti che trasferiscono la proprietà di un fabbricato (per esempio le donazioni e le permute), agli atti che costituiscono o trasferiscono un diritto reale (per esempio l’usufrutto o la nuda proprietà), alle costituzioni e modifiche di servitù e alle divisioni. La legge di conversione ha invece espressamente escluso dall’applicazione delle nuove norme gli atti che costituiscono, modificano o estinguono ipoteche, che invece erano compresi nella definizione originaria del decreto entrato in vigore il primo luglio 2010. Oggi, pertanto, non è più obbligatorio regolarizzare la situazione catastale del fabbricato per poter ottenere un mutuo ipotecario.

Le nuove regole fanno riferimento a tutti i “fabbricati già esistenti” e alle “unità immobiliari urbane”. L’Agenzia del Territorio (Circolare n. 2 del 9 luglio 2010) ha chiarito che si intendono dunque esclusi dalla nuova normativa:

– le particelle censite al catasto terreni;

– le aree urbane e il lastrici solari, iscritti al catasto fabbricati con indicazione della sola superficie (ai sensi dell’art. 15 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 650);

– i fabbricati iscritti in catasto come “in corso di costruzione” o “in corso di definizione”, sempre che non siano ancora stati ultimati o definiti;

– i fabbricati iscritti in catasto come “unità collabenti”, in quanto non più abitabili o utilizzabili per l’uso a cui sono destinati.

L’Agenzia del Territorio (Circolare n. 3 del 10 agosto 2010) ha precisato inoltre che si intendono esclusi dalla nuova normativa anche i cosiddetti “beni comuni non censibili”, cioè i beni comuni a più unità immobiliari e privi di rendita catastale, come per esempio scale, androni, aree comuni di passaggio, cortili condominiali, che non presentano un’intestazione catastale e per i quali non è neppure prevista la redazione di una planimetria. Le nuove regole si applicano invece ai cosiddetti “beni comuni censibili”, come per esempio l’alloggio del portiere, che pur essendo comuni a tutti i condomini hanno una rendita catastale, e per i quali la planimetria deve essere depositata in catasto.

Luca Vona

RE/MAX Blu

Team Evolution

Tel. 3385970859



Agenzie

PARIOLI, Via Mercalli 3

SAN GIOVANNI, Via Acireale 19

TALENTI, Via Monte Patulo 25

AXA, Via Eschilo 72s

CASTELLI ROMANI, Viale Matteotti 25, Genzano


💰 Quanto vale il tuo immobile?

🏠 Cerchi casa? Lascia la tua richiesta

👉 Guadagna segnalando un cliente

 
Social



Imposta catastale. Che cos'è e come si calcola (e quando non si paga)

L’imposta catastale è un tributo dovuto ogni volta che si esegue una voltura catastale, cioè che si registra un atto presso l’ufficio del Catasto. Viene applicata a tutti i passaggi di titolarità di un diritto reale (tra cui proprietà e usufrutto) su un bene immobile e quindi, per esempio, a compravendite, donazioni o successioni.

Di norma, è pari all’1% del valore dell’immobile o della somma dichiarata nell’atto, ma in alcuni casi esistono delle agevolazioni alle quali si può accedere e che prevedono il pagamento di un importo fisso.

Che cos’è l’imposta catastale

L’imposta catastale deve essere versata per ogni atto col quale si realizza il passaggio di titolarità di un diritto reale e all’esito del quale la legge richiede obbligatoriamente l’aggiornamento (la voltura, appunto) delle intestazioni catastali. La normativa di riferimento è il decreto legislativo 347/1990.

Va detto che questo tributo va di pari passo con l’imposta ipotecaria, che a sua volta deve essere corrisposta in occasione delle formalità di trascrizione, iscrizioni, rinnovi, cancellazioni e annotazioni nei pubblici registri immobiliari.

Quando non si paga

Alcune operazioni risultano escluse dal versamento dell’imposta catastale (e anche di quella ipotecaria). Queste sono le volture (e le formalità):

eseguite nell’interesse dello Stato;
relative a trasferimenti a titolo gratuito a favore di Stato, Regioni, Province, Comuni, enti pubblici, fondazioni, associazioni legalmente riconosciute aventi finalità di pubblica utilità e Onlus.

Come si calcola

Per calcolare a quanto ammonta l’imposta catastale, bisogna tenere conto di due fattori, ovvero la base imponibile e l’aliquota. Il primo parametro si ottiene solitamente moltiplicando la rendita catastale dell’immobile per un coefficiente che varia in base proprio al tipo di immobile: quando si tratta della prima casa, ad esempio, è fisso a 110. Come si diceva all’inizio, l’aliquota di solito è pari all’1%, ma esistono diverse agevolazioni.

Imposta catastale per la prima casa

Per l’imposta catastale relativa all’acquisto della prima casa è stato stabilito un importo fisso pari a 50 euro, quando il venditore è un soggetto privato. L’imposta ipotecaria, inoltre, avrà lo stesso valore, mentre quella di registro sarà pari al 2%.

Quando invece a vendere è l’impresa

costruttrice, e la transazione sarà assoggettata ad Iva, l’imposta catastale assieme a quella ipotecaria e di registro saliranno a 200 euro l’una. Oltre a questi tributi è inoltre previsto il pagamento dell’IVA agevolata al 4%.

Imposta catastale per la seconda casa

Quando si sta acquistando una seconda casa, vale la stessa distinzione vista sopra e, dunque, le imposte catastali e ipotecarie saranno di 50 euro l’una (ma l’imposta di registro sarà del 9%). Tranne nell’ipotesi di vendita da parte dell’impresa costruttrice, nel qual caso saranno di 200 euro l’una (ma l’IVA sarà del 10%).

Imposta catastale per donazioni e successioni

Quando viene effettuato un trasferimento di proprietà dell’immobile per donazione o per successione, l’imposta catastale può avere un importo fissato a 200 euro nel caso in cui il beneficiario dichiara in atto di essere in possesso dei requisiti per le agevolazioni sulla prima casa. Altrimenti viene applicata l’aliquota ordinaria all’1%. Per quanto riguarda l’imposta ipotecaria, sarà invece al 2% sia in caso di successione che di donazione, sempre se non è possibile accedere alla tassazione agevolata sulla prima casa.

Come si paga

L’imposta catastale deve essere pagata da chi sta richiedendo la voltura, che di solito corrisponde all’acquirente dell’immobile. Per il versamento può essere utilizzato il modello F24, come accade per l’imposta di registro. Deve comunque essere inserito il codice tributo 1531.

È anche vero, però, che nella maggior parte dei casi è lo stesso notaio che redige l’atto ad occuparsene, addebitando l’intero importo di tutte le imposte direttamente al cliente, senza che questo debba poi provvedere per conto suo. - Giulia Dallagiovanna, Immobiliare.it, 25 maggio 2021

Rassegna stampa a cura di:

Luca Vona

RE/MAX Blu

Team Evolution

Tel. 3385970859



Agenzie

PARIOLI, Via Mercalli 3

SAN GIOVANNI, Via Acireale 19

TALENTI, Via Monte Patulo 25

AXA, Via Eschilo 72s

CASTELLI ROMANI, Viale Matteotti 25, Genzano


💰 Quanto vale il tuo immobile?

🏠 Cerchi casa? Lascia la tua richiesta

👉 Guadagna segnalando un cliente

 
Social



martedì 25 maggio 2021

Corte di Cassazione: diritto dell'agente alla provvigione anche senza incarico

Il tema è di particolare rilievo per quei proprietari che tendono a non voler affidare l’incarico di vendita del proprio immobile in forma esclusiva a una struttura immobiliare, con la convinzione di non assumere impegni vincolanti nei confronti di quegli agenti che operano senza incarico.

La Corte di Cassazione, sez. II Civile, con l’ordinanza 27 gennaio – 12 marzo 2021, n. 7029, ha infatti chiarito che il diritto dell'agente immobiliare al pagamento della provvigione, maturi anche nel caso in cui non gli sia stato conferito alcun incarico.

In base a quanto deciso, è sufficiente che sia stata posta in essere un'attività di intermediazione di cui le parti si siano avvantaggiate, anche tacitamente e che abbia condotto alla stipula del contratto di vendita.

L'affare deve concludersi grazie all'effettiva attività del mediatore, ma non è necessario che il nesso causale sia diretto ed esclusivo.

Ne consegue che la provvigione all'agenzia immobiliare, spetti anche se l'agente non abbia preso parte a tutte le fasi della trattativa e "anche in quei casi nei quali il processo di formazione della volontà del venditore e dell'acquirente sia stato complesso e articolato nel tempo.

Quello che interessa è che l'attività di intermediazione tra le parti dell'affare, valutata ex post, ovvero a giochi fatti, sia risultata necessaria ai fini della conclusione del contratto di compravendita".

La Cassazione ha poi spiegato come "i presupposti per il sorgere del diritto al pagamento del compenso, in mancanza di accordo, viene liquidato sulla scia degli usi applicati nell'ambito territoriale in cui insiste l'immobile oggetto di compravendita".

I giudici di legittimità, hanno quindi evidenziato che il diritto del mediatore alla provvigione, matura sempre nel momento in cui "la conclusione dell'affare sia in rapporto causale con l'attività dell'intermediario, senza che sia necessario che tra quest'ultima e la conclusione dell'affare sussista un collegamento di causa-effetto diretto ed esclusivo".

Basta quindi, ad esempio, che venga individuato uno dei contraenti e che quest'ultimo venga messo in contatto con l'altra parte interessata all'affare, "laddove sia poi seguita la conclusione dell'affare".

Non serve che l'agente immobiliare abbia avuto un incarico firmato e che prenda parte alle diverse fasi della trattativa fino alla stipula del contratto di compravendita ma è sufficiente che la stipula del contratto di compravendita si possa legittimamente ritenere "conseguenza prossima o remota dell'operato dell'intermediario, tale, cioè, che senza di esso il negozio giuridico non sarebbe stato concluso".

In conclusione, per poter configurare un rapporto di mediazione, non serve un "preventivo conferimento di incarico per la ricerca di un acquirente o di un venditore, ma è sufficiente che la parte abbia accettato, anche implicitamente, l'attività del mediatore, avvantaggiandosene".

Alla luce di quanto sopra risulta raccomandabile affidarsi a chi opera per mezzo di incarichi di mediazione scritti, ben chiari ed in forma esclusiva, proprio per la tutela del Cliente e l'assunzione da parte dell'agenzia di ogni responsabilità, impegno e onere, previsto dalle norme e dalle Camere di Commercio.

Luca Vona

RE/MAX Blu

Team Evolution

Tel. 3385970859



Agenzie

PARIOLI, Via Mercalli 3

SAN GIOVANNI, Via Acireale 19

TALENTI, Via Monte Patulo 25

AXA, Via Eschilo 72s

CASTELLI ROMANI, Viale Matteotti 25, Genzano


💰 Quanto vale il tuo immobile?

🏠 Cerchi casa? Lascia la tua richiesta

👉 Guadagna segnalando un cliente

 
Social



lunedì 24 maggio 2021

Proposta d'acquisto: cos'è e come funziona il primo "step" per comprare casa

Stai pensando che i tempi siano ormai maturi per compiere il grande passo: comprare una casa. Ma prima di incominciare la tua ricerca tra annunci e agenzie, è bene conoscere alcune delle tappe fondamentali di un processo che sicuramente non è immediato.

Il primo step per diventare proprietari di casa consiste nella proposta di acquisto immobiliare, ovvero la dichiarazione con cui l’acquirente attesta la propria volontà di comprare un bene a una certa cifra.

Ma vediamo nel dettaglio come funziona, quanto dura e che cosa succede se a un certo punto si cambia idea.

Proposta di acquisto immobiliare: che cos’è

Si tratta di un accordo privato tra le parti in cui vengono definiti gli impegni e le clausole che faranno poi parte del contratto di vendita vero e proprio. Di solito è accompagnata da una somma di denaro che è valida come caparra.

Modello di proposta d’acquisto

Il vero e proprio modello da compilare può essere fornito dall’agenzia immobiliare a cui ci si è rivolti. Oppure, nel caso di proposta di acquisto tra privati, è possibile affidarsi all’aiuto di un professionista, prestando sempre la dovuta attenzione a tutti i modelli che si possono scaricare online.

Cosa deve contenere

L’importante è che nel modello della proposta di acquisto siano indicati:

  • gli elementi identificativi dell’immobile;
  • le garanzie di vendita, cioè gli aspetti catastali, l’inesistenza di vizi occulti e la conferma che tutte le imposte relative all’immobile sono sempre state pagate;
  • prezzo, modalità, tempistiche e condizioni di pagamento. Per esempio si può specificare che la proposta è subordinata al mutuo. Che cosa significa? È una clausola che annulla l’obbligo di compravendita se all’aspirante acquirente, che non possiede tutta la liquidità necessaria, non viene concesso il prestito dalla banca.

Una volta ricevuta la proposta di acquisto, il venditore ha a disposizione del tempo per rifletterci, dopodiché può rifiutare, accettare o modificare la proposta e sottoporla di nuovo a all’acquirente.

Superata questa fase di trattativa, le parti firmeranno il contratto preliminare di vendita, chiamato anche compromesso, con il quale si obbligano dal punto di vista giuridico a concludere la compravendita.

Proposta di acquisto: quanto dura

La legge non impone una durata precisa. Stando alla prassi, si potrebbe convenire che la proposta di acquisto ha una “validità” che varia da una settimana fino a un massimo di un mese, ma in questo caso non ci sono vincoli pre-determinati.

In ogni caso, il venditore non ha a disposizione un tempo illimitato per valutare se accettare o meno la proposta, o per fare a sua volta una controproposta al potenziale acquirente.

Caparra: come versarla e a quanto ammonta

L’importo imputato a caparra di una proposta d’acquisto si può pagare con un assegno bancario non trasferibile, un assegno circolare o attraverso un bonifico bancario, immediato o meno.

Come per la durata, anche per quanto riguarda la caparra non c’è una regola scritta che ne stabilisca l’ammontare. Di solito è pari al 10% circa del prezzo pattuito (per esempio su un immobile da 150mila euro sarà di 15mila euro), ma nulla vieta di versare una cifra più alta o anche più bassa.

Si può fare una proposta di acquisto senza versare nessuna caparra? La risposta è sì, ma spesso ci cerca di evitare questa pratica perché l’accordo offrirebbe meno garanzie, visto che entrambe le parti potrebbero tirarsi indietro senza il rischio di perdere del denaro.

Proposta d’acquisto accettata: che cosa succede dopo

Se il venditore accetta sia le condizioni economiche sia le altre clausole inserite nella proposta di acquisto non deve fare altro che firmarla: a questo punto entrambe le parti risultano vincolate a quanto scritto e ogni eventuale modifica o integrazione sarà ammessa solo se acquirente e venditore saranno d’accordo.

Ecco perché è molto importante leggere con attenzione la proposta ed eventualmente farsi assistere da un esperto, per non ritrovarsi vincolati per esempio a condizioni di pagamento o a tempistiche di consegna dell’immobile che non si è in grado di rispettare.

Proposta d’acquisto rifiutata: che cosa accade?

Se il proprietario non intende firmare la proposta dovrà restituire la caparra all’acquirente, il quale valuterà se modificare le condizioni proposte inizialmente oppure se mettersi alla ricerca di un immobile diverso.

Recesso dalla proposta di acquisto: è possibile?

Che cosa succede se, dopo avere firmato la proposta, l’acquirente cambia idea? Tutto dipende dal tipo di caparra. In caso di caparra penitenziale, infatti, lo scioglimento del vincolo contrattuale comporterà solo che la somma versata venga persa (in pratica la caparra penitenziale rappresenta il corrispettivo del diritto di recesso).

In caso di caparra confirmatoria, invece, l’acquirente potrà liberarsi dall’impegno assunto con la proposta soltanto ottenendo il consenso del venditore: quindi perderà la caparra e si esporrà anche a ulteriori richieste di risarcimento di eventuali danni subiti.

E se il venditore cambia idea?

Se l’inadempiente è colui che ha ricevuto la caparra, l’altra parte può recedere dal contratto ed esigere un risarcimento pari al doppio della caparra versata. In pratica, se l’aspirante compratore ha versato 3mila euro di caparra, il venditore gliene dovrà restituire 6mila. - Laura Fabbro, Immobiliare.it, 20 aprile 2021

Rassegna stampa a cura di:

Luca Vona

RE/MAX Blu

Team Evolution

Tel. 3385970859



Agenzie

PARIOLI, Via Mercalli 3

SAN GIOVANNI, Via Acireale 19

TALENTI, Via Monte Patulo 25

AXA, Via Eschilo 72s

CASTELLI ROMANI, Viale Matteotti 25, Genzano


💰 Quanto vale il tuo immobile?

🏠 Cerchi casa? Lascia la tua richiesta

👉 Guadagna segnalando un cliente

 
Social



venerdì 21 maggio 2021

Il compromesso o contratto preliminare, spiegato in 6 semplici passaggi

Per diventare proprietari di casa ci sono alcuni step da seguire.

  • Prima di tutto bisogna individuare l’immobile che fa per noi;
  • dopodiché si arriva alla proposta di acquisto al proprietario precedente;
  • superata questa fase di trattativa, si passa a firmare il contratto preliminare di vendita, chiamato anche compromesso;
  • segue infine la stipula del contratto definitivo davanti al notaio, il rogito.

Vediamo insieme che cos’è il compromesso e perché si tratta di un passaggio importante e delicato.

Che cos’è il compromesso di acquisto di una casa – 1

È un contratto con il quale venditore e acquirente si impegnano a rogitare in un momento successivo. In pratica serve per “bloccare l’affare” e avere il tempo per effettuare pratiche come la richiesta di un mutuo o l’acquisto di un’altra casa senza rischiare che la controparte cambi idea. Questo tipo di accordo tutela quindi sia il proprietario sia il compratore.

È sempre necessario sottoscrivere il compromesso? – 2

Questo step non è obbligatorio: nulla vieta, cioè, di passare dalla proposta di acquisto direttamente al rogito. Tuttavia nella pratica quasi sempre le parti decidono di firmare il compromesso perché permette loro di “guadagnare tempo” nell’attesa che ci siano tutte le condizioni per arrivare alla firma del contratto vero e proprio: in particolare l’acquirente avrà modo di ottenere un prestito (di solito un mutuo) dalla banca e di effettuare una serie di controlli per scongiurare difetti strutturali o ipoteche sull’immobile.

Che cosa deve indicare il compromesso – 3

Perché il documento sia valido bisogna rispettare una serie di vincoli contenutistici e formali. Il contratto preliminare di vendita deve:

  • Essere in forma scritta.
  • Indicare chiaramente la volontà di entrambe parti.
  • Descrivere in modo dettagliato l’immobile (indirizzo, dati catastali, planimetrie).
  • Indicare il prezzo concordato.

Oltre a questi dati obbligatori nel compromesso si possono scrivere anche delle clausole accessorie come il termine per la stipula del contratto definitivo, la caparra da versare e le penali in caso di inadempimento.

Compromesso casa tra privati: è possibile? – 4

Salvo nel caso di immobili in corso di costruzione o realizzati dopo il 16 marzo del 2019, il compromesso può essere costituito da una semplice scrittura privata fra le parti non autenticata. Non hanno valore legale, invece, gli accordi esclusivamente verbali.

Registrazione e trascrizione del contratto preliminare – 4.a

Il compresso deve essere sempre registrato, anche nel caso in cui si tratti di una scrittura privata non autenticata. La registrazione è infatti un adempimento fiscale obbligatorio che deve avvenire presso l’Agenzia delle Entrate entro 20 giorni dalla firma del contratto (o 30 giorni se si tratta di un atto notarile). La trascrizione invece è facoltativa.

Quanto costa? – 4.b

Indipendentemente dal costo della compravendita bisogna versare un’imposta di registro da 200 euro, a cui si sommano:

  • lo 0,50% sulla caparra confirmatoria, see prevista;
  • il 3% dell’acconto sul prezzo di vendita, se previsto;
  • marca da bollo da 16 euro per ogni 4 facciate o 100 righe di foglio. Se il contratto preliminare è redatto da un notaio l’imposta di bollo ammonta a 155 euro.

Anche la trascrizione del compromesso prevede dei costi, che sono intorno a 250/300 euro a titolo di imposte di bollo, ipotecarie e catastali al notaio.

Chi paga le spese di compromesso? – 4.c

L’articolo 1475 del Codice civile chiarisce che le spese legate al contratto preliminare sono a carico della parte acquirente, salvo diverso accordo che è sempre possibile.

Che cosa succede se non si registra il compromesso? – 4.d

Come abbiamo già detto, la registrazione è un mero adempimento fiscale: ciò significa che dal punto di vista legale il compromesso è valido anche senza, ma ovviamente l’Agenzia delle Entrate può agire per recuperare la somma non versata, facendo pagare in più delle sanzioni. Inoltre l’acquirente rischia di trovarsi in difficoltà se il venditore fallisse o se si verificassero dei problemi nel caso di immobili in costruzione.

Quanto si versa al venditore nel momento del preliminare? – 4.e

Non ci sono regole stabilite per legge, ma di solito nel momento in cui si firma il contratto preliminare di compravendita si versa alla controparte una somma che varia tra il 10% e il 15% del prezzo, a titolo di acconto.

Compromesso e rogito: quanto tempo deve passare – 5

Anche in questo caso la legge non prevede una norma specifica sul tempo che deve intercorrere fra compromesso e rogito: è infatti un accordo che possono raggiungere in piena autonomia il venditore e l’acquirente.

Non solo: a meno che il contratto non lo dichiari esplicitamente, la data del rogito indicata nel preliminare può essere cambiata, soprattutto se a chiederlo è il compratore che ha già versato un acconto significativo.

In linea generale, scatta l’inadempimento con conseguente risoluzione del contratto o trasferimento della proprietà solo dopo che la parte lesa ha inviato una prima diffida.

Che cosa succede in caso di inadempimento? – 6

Se prima del rogito una delle parti si tira indietro ci sono due possibilità:

  • la parte lesa invia una diffida all’altra parte imponendole di rispettare gli accordi;
  • la parte lesa recede il contratto e, se si tratta dell’acquirente, chiede il rimborso doppio della caparra che era stata versata oppure, nel caso del venditore, trattiene la caparra che aveva ricevuto. - Laura Fabbro, Immobiliare.it, 19 maggio 2021
Rassegna stampa a cura di:

Luca Vona

RE/MAX Blu

Team Evolution

Tel. 3385970859



Agenzie

PARIOLI, Via Mercalli 3

SAN GIOVANNI, Via Acireale 19

TALENTI, Via Monte Patulo 25

AXA, Via Eschilo 72s

CASTELLI ROMANI, Viale Matteotti 25, Genzano


💰 Quanto vale il tuo immobile?

🏠 Cerchi casa? Lascia la tua richiesta

👉 Guadagna segnalando un cliente

 
Social