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giovedì 4 febbraio 2010

La bolla non si sgonfia

Dodici anni di stipendi per un bilocale

Dodici anni di stipendi per comprarsi un bilocale. Potremmo anche chiamarlo house freedom year: è l'indice che segnala quanto tempo (misurato in anni) è necessario per comprarsi una casa sacrificando allo scopo tutti i propri redditi. E leggere i numeri potrebbe dare il capogiro: per acquistare un appartamento decoroso di 60 metri quadrati in una grande città ai valori attuali di reddito e prezzi delle case un single dovrebbe sacrificare in media 11,8 anni (140 mesi) di guadagno. Dieci anni fa sarebbero bastati 7,5 anni. Questo significa che dal 1999 al 2009 il potere d'acquisto immobiliare è diminuito del 57,5%.

Si tratta di un'operazione che nel mondo anglosassone viene compiuta regolarmente e che ha anche un suo vero nome, diverso da quello che suggerivamo: si chiama house affordablity index e misura l'accessibilità di una famiglia all'acquisto di un determinato immobile.

Pur con tutta la prudenza che suggerisce il ricorso a valori immobiliari medi, i numeri spiegano perché il mercato immobiliare si sia fermato negli ultimi anni, con le compravendite ridottesi di un terzo in due anni e perché una ripresa delle transazioni possa apparire problematica. Dovrebbero infatti scendere in maniera significativa i prezzi o, ma l'ipotesi appare davvero improbabile, aumentare in maniera generalizzata i redditi. La convenienza dei mutui, con i variabili ai minimi storici, da sola non basta, perché si accompagna a un inasprimento dei criteri di erogazione su cui difficilmente in tempi brevi le banche faranno retromarcia.
Per questo nei prossimi mesi il mercato sarà sostenuto da chi può acquistare ricorrendo quasi solo al risparmio senza intaccare il reddito: l'andamento positivo ma non del tutto tranquillizzante delle Borse, l'esiguità dei rendimenti obbligazionari e l'attesa di un rialzo dell'inflazione potrebbero portare a un aumento della domanda di investimento, indirizzata in gran parte sulle maggiori città.

- Gino Pagliuca, Corriere della Sera, 1 febbraio 2010